Amore, Arte, Diversità, Magia

Anima di carta

Conoscevo un uomo ed una donna, lui faceva il pittore, lei non lo so. Quello che so di certo è che desideravano tanto un bambino, ma così tanto che ogni sera, seduti al tavolo di cucina lei iniziava a raccontare…”II nostro bambino sarà…”e lui lo disegnava così come la donna diceva. Poi guardavano il disegno finito e non erano mai contenti, quindi lo strappavano e andavano a dormire.

Una notte più buia del solito dal cesto delle cartacce si sentì uno strano rumore: tutti i fogli strappati iniziarono a mischiarsi e a comporsi in un essere animato: le braccia di due settimane prima insieme alla testa della sera appena trascorsa, con le gambe di una settimana e il busto addirittura dell’anno precedente.

Ecco che così per magia un bambino di carta, un po’ storto e accartocciato, se ne stava in piedi davanti alla lavastoviglie.
“Ehi, c’è nessuno?!” gridò.
L’uomo e la donna corsero in cucina e lo videro.
“E tu chi sei?” domandarono insieme
“Come chi sono?” rispose “Sono Animadicarta, il vostro bambino, siete voi “che mi avete fatto non ricordate?”
I due giovani non potevano credere ai loro occhi e alle loro orecchie.
“Mamma, hai un po’ di scotch, guarda questo braccio mi si sta staccando, è un po’sottile rispetto alle spalle, è vero, ma era quello che mi piaceva di più.”

Da quella notte l’uomo e la donna ebbero il loro bambino e, come due bravi genitori, lo accudirono con tanto amore e con un’attenzione speciale, Animadicarta era molto molto fragile.

Per esempio un giorno che soffiava un vento fortissimo i tre uscirono a fare una passeggiata, ma appena misero il naso fuori dalla porta Animadicarta fu strappato dalle mani del suo babbo e fatto volare in alto in mille turbini.
“Fermati, fermati!”, gridavano due giovani.
“Babbo, mamma, non vi preoccupate! E’ così bello quassù!” gridava Animadicarta e rideva come un pazzo.
Per fortuna il vento lo spinse tra le chiome di un albero e presto i due genitori riuscirono a raggiungerlo, lo portarono a casa e con un po’ di colla e scotch curarono tutti suoi strappi.

Da allora, ogni volta che uscivano col vento legavano un filo al braccio del bambino che felice, volava come un aquilone.

Un altro giorno che Animadicarta doveva andare a scuola, c’era un terribile temporale e la pioggia rischiava di scioglierlo, cosi ebbero un’idea: lo rivestirono di pellicola trasparente e, per non farlo arrivare in ritardo, lo piegarono come una barchetta, così Animadicarta poté scorrere veloce sul fiumiciattolo che arrivava giusto giusto avanti alla scuola.

Animadicarta era un bambino molto allegro, “leggero”, dicevano tutti, nel senso che stare con lui alleggeriva il cuore. Sapeva raccontare tante storie, conosceva parole difficili e tutti i fatti della sua città alla perfezione. Per esempio, se volevi sapere tutti i particolari del campionato cittadino di ping-pong dell’anno prima bastava andare da lui e lui ti diceva il nome di tutti i partecipanti, ti diceva come si erano qualificati, con che punteggio, il colore delle magliette, chi erano i raccattapalle, gli arbitri, i premi, com’era il tempo e il santo del giorno.

Tutto sapeva Animadicarta, e c’era un motivo preciso: il suo babbo lo aveva sempre disegnato su fogli di carta di giornale. I pittori sono poveri, si sa e la sua testa era piena delle belle parole che la sua mamma aveva usato per sognarlo.

Il sogno però non poteva essere eterno e qualcosa andò storto. Era l’ultimo giorno di scuola, Animadicarta giocava con gli altri bambini nel giardino quando uno di loro gli chiese di poter leggere la notizia scritta sul suo braccio, ma le parole erano troppo piccole, così qualcuno andò a prendere una lente d’ingrandimento da appoggiare sul braccio di Animadicarta. Presto, molto presto Animadicarta sentì un forte calore al braccio… stava bruciando!

I raggi del sole di giugno attraverso la lente avevano talmente riscaldato la sua pelle tanto delicata che nessuno riuscì a fermare il fuoco, e poi il ruscello era secco, da tanto tempo non pioveva. Così tutti restarono impalati a vederlo bruciare, quasi senza far niente, pensavano fosse uno scherzo, una magia delle sue, tanto rideva a crepapelle Animadicarta.
“Ah, ah, il solletico, mi fai il solletico!” diceva.
E così, com’era venuto, Anima di carta scomparve.

Dal fumo che si alzava dal suo corpo di carta, cominciarono a prendere il volo tante piccole letterine colorate che si componevano nelle risate e nelle parole del bambino

Le letterine volarono fino alla casa dei due giovani che, ignari di tutto, piantavano margherite nei vasi del loro balcone. I due videro le lettere scendere davanti ai loro occhi e comporsi in parole:

“Ciao mamma ciao babbo, sono il vostro bambino, sapevo che non potevo durare a lungo, sapevo di essere fragile, ma non disperate e leggete attentamente ciò che vi scrivo: queste parole sono buone mamma, buone e calde come quelle che tu usavi per sognare di me, allegre e profumate come i colori che usava il babbo per dipingermi. Mangiatele, mangiatele tutte e presto ci rivedremo.”

Sentirono ancora una volta la risata del loro bambino e, senza piangere, iniziarono a mangiare le letterine una per una, fecero una bella scorpacciata e, appesantiti, quella sera dormirono profondamente.

II mattino dopo, quando si svegliarono sentirono una voce:
“Ehi, c’è nessuno?!”
“E’ Animadicarta!”, dissero insieme
“Da dove viene?”
La donna indicò la sua pancia, iI pittore appoggiò l’orecchio e sentì “Sto arrivando, aspettatemi!!!”

Si, veniva proprio da li.

una fattoria particolare
Amicizia, Diversità, Natura

Una fattoria particolare

C’erano una volta un gatto sghembo, un gallo stonato, un pavone timido e un gufo che dormiva sempre sia di giorno sia di notte.
Questi simpatici animali vivevano tutti insieme in una fattoria abbandonata e le loro giornate andavano avanti tra lamenti e gare a chi fosse più sfortunato.
“Ho una gamba tutta storta e non riesco a camminare dritto”, iniziava il gatto sghembo.
“Vogliamo parlare del mio canto?! Dovrei essere il miglior cantante della fattoria e invece sono terribile”, rispondeva il gallo stonato
“A-al-almeno t-tu non ba-bal-balbetti”, replicò il pavone timido.
E poi silenzio. Infatti il gufo stava già sbadigliando ed era più addormentato che sveglio.

Insomma, i nostri amici passavano tutti tutti tutti i giorni a mettere a confronto le loro sventure. Nonostante quanto si possa pensare andavano molto d’accordo tra di loro e insieme si facevano delle grosse risate.

la fattoria particolare con i suoi animali

Inaspettatamente un giorno di pioggia si presentò all’ingresso della fattoria un barboncino che si era perso e aveva bisogno di indicazioni per tornare a casa dal suo padroncino. Ma il temporale era così forte che gli animali gli sconsigliarono di rimettersi subito in viaggio.
“Forse ti conviene aspettare che torni fuori il sole”, suggerì il gatto.
“I-io la pe-penso esa-esatta-esattamente come Sghembo”, aggiunse il pavone.
Il cagnolino accolse i suggerimenti e decise di rimanere nella fattoria fino a quando il tempo non fosse migliorato.

barboncino perfetto


Ma il barboncino era perfetto e non aveva niente di cui lamentarsi, infatti il suo pelo era lucido e ben pettinato, non abbaiava mai, si riposava solo il necessario e portava dei deliziosi fiocchetti alle orecchie.
Il cane, vedendo i difetti dei suoi ospiti, iniziò a farglieli notare.
“Gatto ma non vedi che la tua zampa è storta?”
“E tu gallo? Se non riesci a essere intonato non cantare proprio.”
“Pavone sei così bello, perché non ti metti in mostra e fai vedere a tutti la tua coda colorata?”
“Lo sapevi che i gufi di solito dormono solamente il giorno?”

Gli animali rimasero perplessi: loro infatti non erano abituati al fatto che qualcun altro li facesse notare i difetti. Così il gallo smise di cantare, il gatto si sforzò di camminare dritto, il gufo fece di tutto per rimanere sveglio (almeno la notte) e il pavone iniziò a ruotare goffamente con la sua splendida coda aperta.
Ma in quei giorni di pioggia nessuno fu più se stesso, non sapevano di cosa parlare e le giornate erano tutte monotone e uguali.

Dopo tre noiosissimi giorni, una mattina di sole il gallo si svegliò soprappensiero e cantò male, malissimo, ma così male che tutti gli altri si svegliarono e non poterono fare a meno di scoppiare a ridere. L’unico che non rideva era il gufo che ormai già da qualche ora dormiva profondamente.
Il gatto sghembo rise così forte che si dimenticò di camminare dritto e cascò sonoramente per terra, facendo ridere ancora di più tutti gli altri.
Alla fine fu il pavone che, visto che era una bella giornata, disse al barboncino balbettando “Fo-for-forse po-potresti ri-rimetterti in via-viaggio”.

(Questo audio è stato gentilmente registrato da storievoce_podcast)
fantasma che tiene in mano una zucca
Diversità

Il fantasma che finì in lavatrice

Attenzione: questa storia non è adatta ai fantasmi sensibili.

Qualche anno fa, in qualche parte del mondo, era quasi Halloween e un fantasma si stava esercitando per spaventare al meglio gli esseri umani.
Ma come, direte voi. Signori miei, proprio così.
In paese infatti, streghe, orchi, zombie, mummie, ragni e creature disgustose, il 31 di ottobre organizzavano la competizione dell’essere mostruoso più cattivo, e chi vinceva riceveva come premio un sacco di caramelle.
Il nostro fantasma girava così di casa in casa e si divertiva a fare sparire gli oggetti, sbattere le pentole, aprire le porte e fare tutte quel genere di cose che piacciono da impazzire ai fantasmi.

La sera del 30 ottobre entrò in una casa per allenarsi con i suoi scherzi per l’ultima volta prima della gara. Stava già pensando a cosa architettare questa volta: far prendere una scossa? Fare una puzzetta? Rubare la cioccolata? Ma alla fine decise per un grande classico: avrebbe spaventato il povero umano direttamente mentre dormiva e poi se ne sarebbe venuto via presto per avere abbastanza energie per il giorno seguente .
Così volò sulle scale di legno, aprì la porta della camera, iniziò a ululare ma…nel letto non c’era nessuno. Allora tornò al piano terra, entrò in cucina e si sguardò intorno ma… niente. Quindi volò fino al bagno ma nulla nemmeno lì.
Ma com’era possibile che nessuno fosse in casa?
Il fantasma, raccolto il suo tessuto, aveva appena deciso di andarsene quando sentì la porta del salotto aprirsi. Preso dal panico non seppe più cosa fare (di solito era lui che spaventava gli altri!), si guardò intorno, vide il lavandino, il water, poi la cesta dei panni e disperato si infilò dentro di testa.

Ma dei passi in lontananza si stavano avvicinando. Tese l’orecchio per ascoltare, qualche altro passo e poi qualcuno entrò in bagno.
“Roby, per favore, mettilo in lavatrice quel lenzuolo, è bello sporco. E ricordati di usare il detersivo biologico”
Inizialmente il fantasma rimase così mortificato per quell’affermazione che iniziò a guardare un lembo e poi l’altro alla ricerca di qualche macchia; poi si rese conto che stava per finire dritto dritto in lavatrice insieme a calzini e magliette sudate e non sapeva bene cosa fare.
Roby lo afferrò e senza tanti complimenti lo lanciò dentro lo sportello, qualche rumore, un pochino di sapone e poi il tasto dell’avvio.

Al nostro povero fantasma non rimaneva che aspettare e girare girare girare girare girare e girò così tanto che alla fine non sapeva nemmeno più se era a testa in giù o a testa in su, e se quel pezzetto di stoffa che vedeva era suo o di qualche asciugamano.
Due ore dopo, finita quella tortura, Roby entrò e trasferì i panni ora puliti dentro una grossa cesta. Poi urlò “tesooooro, il bucato lo stendo domaniiii” e uscì lasciando il fantasma senza parole e con un grosso mal di testa.

Era quasi l’alba quando il nostro amico con fatica si sollevò, volò piano piano in alto e notò con orrore una grossa macchia rosa, proprio al centro del suo bel tessuto bianco. Cosa fare adesso? Mancavano poche ore alla competizione mostruosa di Halloween e tutti lo avrebbero deriso per il suo look poco professionale. Il fantasma mortificato decise comunque di andare, forse almeno la festa lo avrebbe rallegrato un po’.

Il fantasma che finì in lavatrice che tiene in mano una zucca

Quando arrivò con il suo lenzuolo rosa alla strega cascarono i capelli, l’orco iniziò a urlare terrorizzato, il ragno se la diede a zampe levate, le mummie si coprirono gli occhi con le bende e gli zombie cascarono uno sopra l’altro mentre cercavano di scappare.
Solo i giudici-mostri rimasero impassibili e al termine della serata non ebbero alcun dubbio nel nominare il fantasma vincitore assoluto della 981° competizione dell’essere mostruoso più cattivo, dato che era riuscito a spaventare tutti quanti.

Il fantasma incredulo raccolse le caramelle dentro il suo lenzuolo ormai rosa e andando verso casa ne mangiò un po’, sperando che fossero un ottimo rimedio contro quel forte mal di testa.

bambino che va in bicicletta
Avventura, Diversità, Natura

La lentezza della lumaca

Rossa, fiammante, velocissima, con un grosso cestino per lo zaino.
Questo era il regalo che Tommy aveva ricevuto dai nonni per il suo compleanno e ogni qualvolta  il tempo lo permetteva, usava la sua nuova bicicletta per andare a scuola.
Tutti lo invidiavano quando arrivava come un scheggia sul suo sellino, gli occhi dei suoi compagni erano puntati su quel gioiello fiammante che luccicava alla luce del sole. Pure Alfredo, quel bambino antipatico di quinta, gli aveva chiesto dove l’avesse comprata.
Tommy era fierissimo della sua nuova bicicletta e non permetteva mai a nessuno di usarla.
“Ho paura che si rompa”, rispondeva sempre ai suoi amici e i suoi amici non glielo chiesero più.

Una mattina fresca di metà ottobre, Tommy si alzò in ritardo come al solito, si vestì di corsa, mise il giacchetto più pesante, baciò la mamma sulla guancia e uscì in giardino per prendere la bicicletta che teneva legata a un palo.
Ma qualcosa era diverso dal solito.
Una spessa striscia argentea imperlava il sellino da parte a parte e al suo termine una grossa lumaca si trascinava stancamente andando chissà dove.
“Ma che cosa strana!”- pensò Tommy- “Una lumaca su una bicicletta. Ma cosa pensa di fare? Le lumache sono lente e silenziose. Sarà meglio farla scendere visto che io vado velocissimo. Il suo posto non è di certo qui sopra. Per colpa sua arriverò tardi in classe e la maestra si arrabbierà moltissimo con me.”
Tommy allora prese delicatamente la lumaca per il guscio, la mise sull’erba e in tutta fretta pedalò verso la scuola.

Quello che Tommy non sapeva è che la lumaca non si era mai spinta al di là del delimitare del prato. Quindi lei ignorava che sul marciapiede davanti casa camminavano in fila le formiche, che sull’albero della vicina ci fosse un nido di api, che un pettirosso in fondo alla strada amava cantare alle 5 di pomeriggio. Le altre lumache erano felici lo stesso, in quel giardino crescevano in abbondanza denti di leone e altre foglie gustosissime, a loro non mancava niente. Ma alla nostra lumaca questa cosa proprio non andava bene. Lei aveva deciso che voleva scoprire il mondo e non si sarebbe arresa così facilmente.

Così la mattina dopo, con molta fatica, si fece trovare in orario sopra il sellino della bicicletta fiammante di Tommy.
“Eh no- pensò lui seccato- questa ci sta facendo l’abitudine.”
La riprese per il guscio, la osservò fissando le sue antennine sopra la testa e le disse “Come faccio a farti capire che se caschi ti fai male? Qui non devi salire!”. E la rimise al suo posto nel prato.
Ma la lumaca, testarda com’era, non avrebbe rinunciato al suo sogno e la mattina seguente, con molta fatica, si fece trovare nuovamente in orario sopra il sellino della bicicletta.
Tommy quando la vide non credette ai suoi occhi. Forse, per lo spavento, avrebbe capito che quello non era di certo un posto dove poteva stare una lumaca. Rifletté un attimo su cosa fare, la spostò sul manubrio e partì a tutta velocità verso la scuola.

Quando Tommy iniziò ad andare così veloce la lumaca per un secondo ebbe paura, poi si attaccò bene al metallo e si fece coraggio. Durante il viaggio si divertì da morire. Non si era mai sentita così libera. Osservò con cura le foglie che iniziavano a cascare, sentì l’odore intenso della resina dei pini, vide volti e case e montagne che non aveva mai visto prima. Tutto era nuovo, sconosciuto e a lei sembrava di essere rinata.
Quanto Tommy legò la bicicletta davanti a scuola si sorprese di vedere la lumaca ancora attaccata al suo posto ma si sorprese ancora di più quando al suo ritorno la notò lì, dove l’aveva lasciata, che lo stava aspettando.

Lungo la strada del ritorno la lumaca si sentì in dovere di sdebitarsi con quel bambino che gli aveva fatto vivere dei momenti così magici. Allora iniziò a raccontargli dei fili d’erba bagnati di rugiada, dei petali morbidi delle margherite e del solletico che il vento le faceva mentre era sopra la bicicletta. Tommy a quel punto rallentò (c’erano davvero tutte quelle cose?) e iniziò a osservare con attenzione quello che la lumaca gli diceva, andando lentamente per non perdersi nemmeno un dettaglio di quel mondo così piccolo ma non per questo meno bello.

Posso dirti, caro lettore, che divennero grandi amici. La mattina presto la lumaca era già pronta sul sellino della bicicletta, elettrizzata per il viaggio che l’aspettava. Tommy andava come una scheggia per non arrivare in ritardo e la sua amica non riusciva a smettere di ridere per il solletico che le faceva il vento. Al ritorno andavano piano, pianissimo, e spesso si fermavano a guardare i nidi dei merli o le antenne di qualche grillo che si domandava sbigottito che cosa ci facessero insieme quei due.

Tommy in bicicletta con la sua lumaca
ragno sorridente con il papillon
Diversità, Natura

Il ragno beneducato

Nella casa del signor Antonio abitavano lui e la moglie, ma avevano anche un ospite alquanto discreto, Oscar il ragno.
Oscar se ne stava sempre per i fatti suoi, costruiva pazientemente la sua ragnatela dietro il mobile grande della sala e non dava noia a nessuno. Insomma, era un ragno di tutto il rispetto, serio e cortese. L’estate aspettava le zanzare, l’inverno attendeva qualche mosca, tirava a campare.

immagine di oscar il ragno beneducato

Un giorno però la moglie dei signor Antonio aveva deciso di fare le pulizie in sala, distruggendo la casa di Oscar che in tutta fretta aveva raccolto bagagli e valigie e si era diretto verso la cucina. Con pazienza si era trovato un piccolo posto dietro il tavolo e aveva iniziato a tessere una nuova tela quando, eccola di nuovo!, la moglie del signor Antonio armata di aspirapolvere. Oscar si diede di nuovo a zampe levate, fuggendo di corsa in bagno, rifugiandosi in un anfratto del lavandino. Ma la moglie del signore doveva aspettare ospiti perché dopo un’ora entrò con in mano gli stracci per pulire.

“Eh no, adesso basta!” pensò Oscar “vado dal signor Antonio a cantargliene otto!”.
Oscar era un gentilragno, non aveva mai perso la pazienza, ma adesso gli sembrava davvero troppo. Si spostò in sala dove si trovava il signore, si schiarì la voce e prese la parola.
-Mi scusi, non vorrei disturbarla ma dovrei parlarle.
Per poco Antonio non si sentì male sentendo quella voce così strana e si girò intorno alla ricerca della fonte fino a quando non guardò in basso e vide un ragno proprio davanti a lui, che lo fissava con tutti i mille mila occhi.
-S…sei un ragno? E parli?
-Certo! E conviviamo sotto lo stesso tetto da ormai due anni signore.
-Io devo avere la febbre alta e le allucinazioni…
-Mi stia a sentire. Le vorrei comunicare il mio disagio dato dal comportamento della sua signora che senza ritegno distrugge la mia umile dimora. Mi sono dovuto trasferire per ben due volte e la pregherei di prestare più attenzione in virtù della nostra precedente serena convivenza.
Antonio per poco non svenne.
-E….e….cos….cosa dovrei fare?
-Beh, portare un poco di rispetto anche a me. Cosa ne direbbe se qualcuno le distruggesse la casa ogni volta? O se a un insegnante togliessero la scuola? O se a un cuoco togliessero il ristorante? Le pare? Cosa fareste per vivere? Anch’io devo campare in qualche maniera. Dovrebbe pregare la sua amata moglie di lasciarmi un poco di spazio per la mia dimora, senza essere disturbato dalle pulizie. Lo farà?
-I…io…credo di sì.
-Grazie e arrivederci.

Oscar per un momento pensò di trasferirsi in cantina ma alla fine decise di spostarsi in giardino, era meglio evitare quegli umani così maleducati.

mostro viola buffo
Diversità

Il mostro che non voleva mostrarsi

Una cosa è certa: i bambini hanno paura dei mostri.

Allo scoccare della mezzanotte questi escono dai loro rifugi, entrano dalla finestra, si avvicinano ai lettini e BU! E si divertono come matti a spaventare chi dorme! Quando poi il sole lentamente sorge, tornano nei loro nascondigli, raccontandosi i loro scherzi notturni.
-Hai sentito come urlava quel bambino! E solo perché gli ho detto “sooo-no un mostro”.
-E il mio? Ha pure chiamato la mamma e il papà!
-Non sapete cosa mi è successo! Stasera mi sono fatto un sacco di risate! Nella casa dove sono entrato avevano appeso tantissimo aglio, si devono essere confusi, noi mica siamo vampiri! I vampiri non esistono!

Ora, voi penserete che i mostri sono cattivi, ma non è proprio così.
I mostri fanno i mostri, ecco. E’ il loro lavoro. Anzi, a dirla tutta, il loro mestiere è abbastanza faticoso: devono uscire la notte, ancora meglio se fa freddo e fuori piove, cercare un piccolo spiraglio in qualche finestra e soprattutto non devono mai mai mai farsi vedere.
Loro proprio non capiscono come mai gli umani abbiano paura, in fondo non è mai successo che qualcuno si spaventasse a morte per un mostro.
Avete mai sentito dire al telegiornale “Salve a tutti, dobbiamo darvi una pessima notizia. Questa mattina un signore ha quasi rischiato la pelle per uno spaventosissimo spavento causato da uno spaventosissimo mostro”? Io mai.
E credo che non possa succedere, si sa, i mostri si divertono a fare i mostri, ma che ci vuoi fare.

Tempo fa ho sentito che ce n’era uno un po’ strano. Non so il suo nome (hanno un nome i mostri?) ma era timidissimo. Lui si sentiva molto in colpa a spaventare le persone e tutti i suoi compagni lo deridevano per questo.
-Mai sentito di un mostro che non vuole mostrarsi!
-Come pensa di fare a campare senza spaventi! E’ il nostro lavoro!
-Vedi che gli passerà prima o poi.

Lui ne soffriva molto per le parole che gli altri gli dicevano. Che ci poteva fare se non se la sentiva di terrorizzare quei poveri umani?
Ma non ce la faceva più a essere preso in giro e decise così: quella notte sarebbe andato nella casa gialla a quarantatré passi dal supermercato umano e avrebbe spaventato tutti, così tanto che gli altri gli avrebbero chiesto scusa e lo avrebbero accolto a tentacoli aperti nella comunità dei mostri.

Scoccata la mezzanotte uscì dal suo piccolo rifugio, andò verso la casa, trovò un piccolo spiraglio nella finestra di una cameretta e si intrufolò furtivo. Un bambino respirava lentamente nel suo letto a castello, abbracciando forte una giraffa peluche. Era il momento!
Il mostro che non voleva mostrarsi uscì dal suo angolo buio, si avvicinò, inspirò profondamente per gridare un fortissimo BU! e prese coraggio. Ma il coraggio presto svanì e nessun suono uscì dalla sua bocca.
Il mostro sconsolato non riuscì a trattenersi e iniziò a piangere lacrime e lacrime e lacrime. E ora? Cosa avrebbero pensato gli altri di lui?
Poi una piccola luce si accese, il bambino scese velocemente le scalette del letto e senza timore parlò al mostro come se fosse la cosa più naturale del mondo:
-Perché stai piangendo? Cosa ti succede?
-Non riesco a spaventare nessuno. Sono un grande fifone, mi prendono tutti in giro!
-Non ti preoccupare. Oh, usa pure il mio lenzuolo se devi asciugarti quei grossi lacrimoni mostruosi. Ho un’idea, facciamo così: verrai a trovarmi tutte le notti, gli altri mostri penseranno che mi stai spaventando e non ti prenderanno più in giro. Che ne dici?

Da quella sera il mostro non venne più preso in giro e tutte le mezzanotti si recava dal bambino gentile, che lo aspettava con una tazza di thè fumante per lui e per la giraffa peluche. Con il suo nuovo amico poteva essere finalmente sé stesso, senza fingere di essere felice per aver spaventato qualche povero cucciolo di essere umano.

gatto che dorme
Diversità, Natura

Annie e il gatto tigrato

Alpino era un bellissimo paese sotto le montagne ed è proprio lì che abitava Annie, una simpatica bambina di 6 anni a cui piaceva un sacco vivere a stretto contatto con la natura. Nonostante la bellezza dei luoghi, vivere ad Alpino non era facile, non c’erano tutte le comodità della città e gli abitanti erano sempre meno.

Fu così che Annie si trovò il primo giorno di scuola in una classe di soli 8 bambini e lei era l’unica femmina. Come avrete sicuramente indovinato, Annie non era tipo da scoraggiarsi facilmente e nonostante i suoi compagni si comportassero come se lei non esistesse, imperterrita continuava ad andare a scuola sempre allegra e sorridente.

Era l’ultimo giorno della settimana e i bambini si stavano avviando all’uscita di scuola quando si accorsero che nel giardino stava succedendo qualcosa di strano: la bidella, brandendo in aria la sua scopa, cercava di convincere un grosso micio tigrato a scendere dall’albero sul quale si era rifugiato per scampare al cane che lo stava inseguendo.

I bambini assistevano divertiti a quello spettacolo e Bertie, che si vantava di sapere sempre tutto, tirata fuori di tasca una piccola fionda, prese a tirare sassi al povero gatto che sempre più spaventato si rifugiava sui rami più alti.

Annie pensava fermamente che la violenza non serviva a risolvere i problemi.  Così, toltasi lo zaino che aveva sulle spalle e senza proferire parola, si arrampicò sull’albero. Si muoveva lentamente per non impaurire il gatto e dopo un paio di tentativi andati a vuoto finalmente riuscì ad afferrarlo e a portarlo in salvo.
I compagni sotto di lei, rimasero dapprima senza parole, poi appena Annie rimise i piedi a terra con il gatto in braccio, si misero a batterle forte le mani e a farle i complimenti.

Annie incontra il gatto davanti alla sua scuola

“Per essere una femmina sei davvero coraggiosa” le disse il suo compagno di banco che fino ad allora non le aveva rivolto mai una parola.
Annie non capì il perché ma da allora i sui compagni facevano a gara per giocare con lei e di questo fu molto felice.