Amore, Arte, Diversità, Magia

Anima di carta

Conoscevo un uomo ed una donna, lui faceva il pittore, lei non lo so. Quello che so di certo è che desideravano tanto un bambino, ma così tanto che ogni sera, seduti al tavolo di cucina lei iniziava a raccontare…”II nostro bambino sarà…”e lui lo disegnava così come la donna diceva. Poi guardavano il disegno finito e non erano mai contenti, quindi lo strappavano e andavano a dormire.

Una notte più buia del solito dal cesto delle cartacce si sentì uno strano rumore: tutti i fogli strappati iniziarono a mischiarsi e a comporsi in un essere animato: le braccia di due settimane prima insieme alla testa della sera appena trascorsa, con le gambe di una settimana e il busto addirittura dell’anno precedente.

Ecco che così per magia un bambino di carta, un po’ storto e accartocciato, se ne stava in piedi davanti alla lavastoviglie.
“Ehi, c’è nessuno?!” gridò.
L’uomo e la donna corsero in cucina e lo videro.
“E tu chi sei?” domandarono insieme
“Come chi sono?” rispose “Sono Animadicarta, il vostro bambino, siete voi “che mi avete fatto non ricordate?”
I due giovani non potevano credere ai loro occhi e alle loro orecchie.
“Mamma, hai un po’ di scotch, guarda questo braccio mi si sta staccando, è un po’sottile rispetto alle spalle, è vero, ma era quello che mi piaceva di più.”

Da quella notte l’uomo e la donna ebbero il loro bambino e, come due bravi genitori, lo accudirono con tanto amore e con un’attenzione speciale, Animadicarta era molto molto fragile.

Per esempio un giorno che soffiava un vento fortissimo i tre uscirono a fare una passeggiata, ma appena misero il naso fuori dalla porta Animadicarta fu strappato dalle mani del suo babbo e fatto volare in alto in mille turbini.
“Fermati, fermati!”, gridavano due giovani.
“Babbo, mamma, non vi preoccupate! E’ così bello quassù!” gridava Animadicarta e rideva come un pazzo.
Per fortuna il vento lo spinse tra le chiome di un albero e presto i due genitori riuscirono a raggiungerlo, lo portarono a casa e con un po’ di colla e scotch curarono tutti suoi strappi.

Da allora, ogni volta che uscivano col vento legavano un filo al braccio del bambino che felice, volava come un aquilone.

Un altro giorno che Animadicarta doveva andare a scuola, c’era un terribile temporale e la pioggia rischiava di scioglierlo, cosi ebbero un’idea: lo rivestirono di pellicola trasparente e, per non farlo arrivare in ritardo, lo piegarono come una barchetta, così Animadicarta poté scorrere veloce sul fiumiciattolo che arrivava giusto giusto avanti alla scuola.

Animadicarta era un bambino molto allegro, “leggero”, dicevano tutti, nel senso che stare con lui alleggeriva il cuore. Sapeva raccontare tante storie, conosceva parole difficili e tutti i fatti della sua città alla perfezione. Per esempio, se volevi sapere tutti i particolari del campionato cittadino di ping-pong dell’anno prima bastava andare da lui e lui ti diceva il nome di tutti i partecipanti, ti diceva come si erano qualificati, con che punteggio, il colore delle magliette, chi erano i raccattapalle, gli arbitri, i premi, com’era il tempo e il santo del giorno.

Tutto sapeva Animadicarta, e c’era un motivo preciso: il suo babbo lo aveva sempre disegnato su fogli di carta di giornale. I pittori sono poveri, si sa e la sua testa era piena delle belle parole che la sua mamma aveva usato per sognarlo.

Il sogno però non poteva essere eterno e qualcosa andò storto. Era l’ultimo giorno di scuola, Animadicarta giocava con gli altri bambini nel giardino quando uno di loro gli chiese di poter leggere la notizia scritta sul suo braccio, ma le parole erano troppo piccole, così qualcuno andò a prendere una lente d’ingrandimento da appoggiare sul braccio di Animadicarta. Presto, molto presto Animadicarta sentì un forte calore al braccio… stava bruciando!

I raggi del sole di giugno attraverso la lente avevano talmente riscaldato la sua pelle tanto delicata che nessuno riuscì a fermare il fuoco, e poi il ruscello era secco, da tanto tempo non pioveva. Così tutti restarono impalati a vederlo bruciare, quasi senza far niente, pensavano fosse uno scherzo, una magia delle sue, tanto rideva a crepapelle Animadicarta.
“Ah, ah, il solletico, mi fai il solletico!” diceva.
E così, com’era venuto, Anima di carta scomparve.

Dal fumo che si alzava dal suo corpo di carta, cominciarono a prendere il volo tante piccole letterine colorate che si componevano nelle risate e nelle parole del bambino

Le letterine volarono fino alla casa dei due giovani che, ignari di tutto, piantavano margherite nei vasi del loro balcone. I due videro le lettere scendere davanti ai loro occhi e comporsi in parole:

“Ciao mamma ciao babbo, sono il vostro bambino, sapevo che non potevo durare a lungo, sapevo di essere fragile, ma non disperate e leggete attentamente ciò che vi scrivo: queste parole sono buone mamma, buone e calde come quelle che tu usavi per sognare di me, allegre e profumate come i colori che usava il babbo per dipingermi. Mangiatele, mangiatele tutte e presto ci rivedremo.”

Sentirono ancora una volta la risata del loro bambino e, senza piangere, iniziarono a mangiare le letterine una per una, fecero una bella scorpacciata e, appesantiti, quella sera dormirono profondamente.

II mattino dopo, quando si svegliarono sentirono una voce:
“Ehi, c’è nessuno?!”
“E’ Animadicarta!”, dissero insieme
“Da dove viene?”
La donna indicò la sua pancia, iI pittore appoggiò l’orecchio e sentì “Sto arrivando, aspettatemi!!!”

Si, veniva proprio da li.

Mr. Mistero
Avventura, Magia

Mr. Mistero

Poche cose si sanno di Mister Mistero. Primo, è un uomo misterioso. Secondo, adora risolvere enigmi e misteri. Terzo, non si perde mai uno spettacolo di magia.

Forse perché così può imparare qualche trucco che può essergli utile per risolvere i suoi misteriosi misteri o forse perché semplicemente va matto per i giochi d’illusione. Chissà.
Così tutte le volte che vede una locandina di uno spettacolo se lo segna sull’agenda, compra i biglietti e non perde mai un appuntamento. Poi indossa il suo impermeabile grigio, gli occhiali da sole anche se è notte, il suo cappello, prende il giornale di qualche mese prima e si mette zitto zitto nell’ultima fila per non farsi notare.
“Signore e signori, benvenuti al 92° festival Houdini di magia! Io sono il mago Magis, mettetevi comodi e godetevi lo spettacolo”.
Mr. Mistero guardava rapito il mago che riusciva a leggere nella mente, indovinava le carte senza averle viste, faceva scomparire gli oggetti e sollevava delle bottiglie senza toccarle.
Che emozione ogni volta!
Mr. Mistero tutto concentrato cercava di capire i trucchi dietro ai giochi di prestigio ma proprio non ci riusciva.

La serata filò liscia liscia come la notte tra bocche aperte per l’incredulità e applausi entusiasti.
Finito un numero mozzafiato dove un candelabro si trasformava in un coniglio, il mago fece per prendere dal baule quello che gli serviva per l’ultima magia quando improvvisamente divenne tutto rosso in volto e poi bianco e poi di nuovo rosso.
Mr. Mistero capì subito che qualcosa non andava.
Il mago borbottò tra sé e sé qualche parola incomprensibile, si voltò indietro, poi in avanti, poi indietro e poi si avvicinò al pubblico e disse “Signore e signori, mi vedo costretto mio malgrado a sospendere lo spettacolo. Io non trovo…sono scomparse… le mie colombine” e scoppiò in lacrime. Tutte le persone nella sala pensarono che fosse uno scherzo, si guardarono stupite tra di loro ma vedendo Magis con le mani sul volto capirono che di uno scherzo non si trattava.
Passò un tempo che sembrò infinito di totale silenzio e di sconcerto generale.
“Chiamiamo la polizia!”, propose qualcuno ma era abbastanza assurdo chiamare la centrale e dire “scusate, sì.., siamo a teatro e c’è un’emergenza, sono sparite le colombine del mago”.

Mr. Mistero comprese che era il momento di intervenire, si alzò in piedi, salì sul palco, si presentò a tutti e chiese agli addetti della sicurezza di controllare che nessuno uscisse dal teatro. Si avvicinò a Magis per rassicurarlo e gli domandò dove fossero gli animali prima di sparire. “Qui dentro la gabbia ma adesso è a…aperta”, rispose Magis tra un singhiozzo e l’altro.
Mr. Mistero pensò subito che le colombine in fondo non potevano essere andate molto lontane: qualcuno doveva averle rubate.

I primi indiziati ovviamente erano tutti i collaboratori del teatro come sarti e truccatori ma andando dietro le quinte Mr. Mistero gli vide sconvolti almeno quanto il mago.
“Erano mesi che stavamo lavorando a questo spettacolo, doveva essere tutto perfetto” disse la sarta Anna tra una lacrima e l’altra. Per non parlare del tecnico delle luci Omar che fissava il vuoto e sembrava sotto shock. No, non potevano essere loro i responsabili.  

Mr. Mistero allora tornò in sala e si guardò intorno per capire chi tra gli ospiti poteva essere un indiziato. C’era una signora bionda bionda magra magra che stava sbadigliando e non vedeva l’ora di tornare a casa, un signore pelato in seconda fila che si era addormentato, nella fila dietro una ragazza sembrava davvero preoccupata per la sorte degli uccelli, sulla sinistra alcuni bambini vestiti da mago si tiravano le bacchette sulla testa. Nessuno sembrava il ladro di colombe.
Un tipo anziano piuttosto panciuto con la giacca molto larga sembrava agitato e ansioso di andare via ma quanto Mr. Mistero gli chiese di aprire la giacca, non trovò proprio niente, a parte una tavoletta di cioccolata nascosta nella tasca interiore. “Mia moglie non sa che sono qui a vedere lo spettacolo di magia, ed è tardi”, si giustificò imbarazzato.

Ma perché rubare delle colombe? E quando le avrebbero rubate dato che il pubblico è sempre rimasto seduto? Qualcosa non tornava.
Intanto gli ospiti in sala cominciavano a lamentarsi dell’orario, della cattiva gestione dell’emergenza e qualcuno voleva pure il rimborso del biglietto. Mr. Mistero parlò con Magis e decisero di mandare tutti a casa, le colombe erano definitivamente scomparse.

La mattina seguente Mr. Mistero si alzò, indossò il suo impermeabile grigio, gli occhiali da sole, il suo cappello e prese il giornale di qualche mese prima. Si avviò verso il suo bar preferito, si sedette, ordinò un cappuccino e una brioche alla crema e si sistemò il giornale davanti al viso. Aveva quasi finito la sua colazione quando notò qualcosa di molto strano. Nel parco dall’altro lato della strada tre pettirosso avevano il collo insolitamente lungo. Mr. Mistero lasciò i soldi sul tavolino del bar e si avvicinò per guardare meglio: si trattava di colombe ricoperte di trucco che stavano discutendo animatamente tra di loro. Ma doveva aver visto male, per forza. Si tolse gli occhiali e si strusciò forte gli occhi. Provò a guardare meglio ma niente, erano sempre lì.
“Io non ci penso nemmeno a tornare dal mago che ci costringe a stare tutto il giorno in gabbia e ci lascia libere solo per gli spettacoli!”, diceva una.
“Sì, ma abbiamo sempre fatto quel lavoro e mi mancano le facce stupite dei bambini”, rispondeva l’altra.
“Siamo scappate, ci siamo immerse nel trucco di scena per far finta di essere pettirosso, io non torno davvero indietro con tutto quello che abbiamo rischiato per scappare!”, cinguettava la terza.
“Con tutto quello che abbiamo passato”
“Con le giornate chiuse dietro le sbarre”
“Ma quanto era bello far ridere i bambini”
“Sì, chissà come sono tristi senza di noi”
“Già, i bambini”

Mr. Mistero si avvicinò silenziosamente commosso dopo aver sentito quelle parole. Quindi le colombe non erano state rubate da nessuno, avevano architettato un piano per fuggire, sporcarsi il petto con il rossetto e volare via per essere finalmente libere. Cosa fare?
Mr. Mistero non era bravo in queste cose, lui era esperto di enigmi, rompicapo e rebus, ma non poteva rimanere indifferente e serviva una soluzione a questo problema così insolito rispetto a quelli che era abituato a risolvere. Ragionò, riflettè, pensò. Poi d’improvviso ebbe un’idea geniale, si fece coraggio e prese la parola.
“Scusate signore colombe. Forse potrei aiutarvi. Visto che ci tenete a fare gli spettacoli, se il mago vi lasciasse libere il resto del tempo, voi tornereste indietro da lui?”.

Poche cose si sanno di Mister Mistero. Primo, è un uomo misterioso. Secondo, adora risolvere enigmi e misteri. Terzo, non si perde mai uno spettacolo di magia.
Quella sera indossò il suo impermeabile grigio, gli occhiali da sole, il suo cappello, prese il giornale di qualche mese prima e blablabla, insomma, lo sappiamo ormai, i suoi soliti vestiti. Si sedette zitto zitto nell’ultima fila per non farsi notare.La serata filò liscia liscia come la notte fino all’ultimo numero quando tre colombine splendide uscirono come d’incanto dal cilindro del mago Magis. Volavano alte in aria per poi trasformarsi al tocco del mago in fazzoletti bianchi e poi ricomparivano sulle spalle dei bambini della sala che ridevano felici. Finalmente tutti gli spettacoli erano una loro scelta e sapevano di libertà.

boccetta di liquido verde
Magia

La pozione dei desideri

C’era un tempo, non molto lontano da qui, un regno incantato, dove convivevano fate, uomini, nani, elfi e ogni genere di creatura magica e non. Una strega in particolare era famosa per la sua grandezza: ogni cento primavere fabbricava una potente pozione che aveva il potere di far avverare qualsiasi desiderio. Chiunque avesse voluto il premio doveva dare prova di bontà e coraggio.
Gli abitanti cercavano quindi di farsi notare dalla strega mostrando le proprie abilità: chi lo faceva con incantesimi, chi cucinando arrosti deliziosi, chi costruendo case sugli alberi. Insomma, ciascuno cercava di mostrarsi per ciò in cui era più versato, sperando di vincere l’agognato premio.

la pozione dei desideri

Tra tutti abitanti c’era un vecchio gentile che produceva intrugli di ogni tipo per curare chiunque ne avesse bisogno. Non lo faceva per interesse, anzi, non voleva niente in cambio ed era felice di rendersi utile aiutando gli altri. Le persone disperate si recano da lui: “mio figlio ha un male incurabile”, “mia moglie non ha appetito”, “mi fa male la punta del mignolo del piede sinistro” e il vecchio in quattro e quattr’otto raccoglieva le erbe e fabbricava una medicina.

La strega notò un gran numero di nani, elfi, esseri umani, che si recavano a casa dell’anziano per fare richieste di ogni genere e vista la sua generosità nell’aiutare chi fosse in difficoltà, decise di donargli la pozione. Il vecchio cercò di rifiutare il dono, non voleva ricchezza, gloria o fama, ma la strega ormai aveva preso la sua decisione.
Quella stessa notte però l’anziano signore morì e suo figlio, un uomo avido e scontroso, rubò la pozione magica dal comodino del padre per usarla.

Per testarne il funzionamento bevve un primo sorso e desiderò con tutto sé stesso di avere un castello in cima alla collina più alta del regno. Dopo pochi secondi una brezza leggera lo sollevò in aria e lo portò fuori dalla porta della sua umile dimora e poi in alto e ancora più in alto, fino a condurlo dentro la più bella fortezza che si fosse mai vista: enormi torri, possenti mura, profondi fossati, e un cancello così alto da sembrare una montagna.
Il figlio avido dunque bevve un altro sorso e desiderò di essere ricco, molto ricco, l’uomo più ricco del mondo. Dopo pochi secondi una brezza leggera attraversò le stanze del suo castello che si tinsero di oro e ogni oggetto divenne di cristallo purissimo. Il figlio preso dalla sete di potere decise di rimanere chiuso nel suo splendido castello: finalmente ogni cosa sarebbe diventata sua.

Gli abitanti nel frattempo soffrivano molto per la mancanza del vecchio, nessun bambino veniva più curato, non sapevano a chi rivolgersi per chiedere aiuto. Provarono a raggiungere la fortezza del figlio avido, sperando che lui potesse fabbricare quelle medicine che donava loro il padre, ma trovarono solo cancelli chiusi. Disperati si recarono dunque dalla strega, alla fine la pozione era andata in dono al vecchio e non al figlio, ma lei rispose che non poteva fare niente. Aggiunse anche di non preoccuparsi: presto il figlio si sarebbe reso conto delle conseguenze delle sue scelte.

Il tempo passava, il figlio rifiutava di curare i malati e le varie creature erano sempre più disperate. La pozione intanto aveva donato al figlio un cavallo possente, una forza incredibile, una corona di diamanti, una carrozza grande quanto una casa e dei capelli folti e lucenti. Ma al figlio malvagio mancava compagnia. Infatti, se grazie alla generosità del padre la piccola e umile casa era sempre piena di elfi, di nani grassocci, di bambini vivaci, adesso era completamente solo. Nessuno aveva più osato avvicinarsi al cancello del castello per evitare di essere maltrattato.

Il figlio bevve quindi un sorso della pozione e desiderò di essere circondato per qualche ora da qualcuno con cui parlare un po’. Dopo pochi secondi una brezza leggera sollevò delle persone e le portò nelle fredde stanze ma queste erano infelici e malate. Il figlio indispettito dal loro umore bevve l’ultimo sorso e desiderò che fossero quantomeno sorridenti e che lo adorassero. Ma il liquido magico non aveva nessun potere sui sentimenti e le persone rimasero tristi. L’unica a ridere era la strega, che conosceva bene l’avidità umana e spesso ne aveva visto i risultati.

Il figlio pianse per la prima volta per la sua solitudine e per la sofferenza degli altri. Non appena le lacrime toccarono per terra, una brezza leggera accarezzò il castello dorato portandoselo via insieme a tutte le altre cose. Da quel giorno il figlio capì che non aveva senso poter avere tutto senza avere qualcuno con cui condividere la propria felicità e iniziò a scegliere le erbe migliori per fabbricare i miscugli come il padre gli aveva insegnato, somministrandoli ai bisognosi che accorrevano finalmente alla porta della sua umile casa.

cavaliere che vola su un libro
Avventura, Magia

Le storie prendono vita

C’era una volta Claudia, una mamma che come molte altre aveva sempre mille impegni: corri di qua, corri di là, era sempre occupata da mille faccende. Ma la sera arrivava il suo momento preferito della giornata: sedeva sul bordo del letto del suo bambino per raccontargli una favola e accompagnarlo nel mondo dei sogni mentre lo stringeva forte a sé e non avrebbe voluto neppure tutto l’oro del mondo in cambio di quei minuti preziosi.

Si schiariva la voce e iniziava “ hai mai sentito parlare del mostro che non voleva mostrarsi?” oppure “ ti ho mai raccontato dell’anello magico che regala la felicità eterna?”. Si divertiva da morire a stuzzicare la fantasia del suo Duccio e metteva insieme ragni, orchi, draghi, fate e anche persone normali, per farlo addormentare con il sorriso sulle labbra.

Una sera Duccio, curioso come una volpe, chiese “Ma queste storie sono vere?” e Claudia senza pensarci un attimo gli rispose strizzandogli l’occhio “Non dubitarne mai.”
Dopo aver ascoltato una storia molto buffa su un ragno beneducato, la mamma gli diede un bacio sulla fronte, rimboccò le coperte e andò a letto promettendogli una nuova storia per il giorno dopo.

Durante la notte però il cielo si scatenò con tuoni e lampi, la stanza si illuminava di luce per poi tornare al buio e ogni cosa nella stanza sembrava viva.
Il bambino impaurito si mise sotto le coperte lasciando un piccolo spiraglio per vedere cosa succedeva e si accorse che dal libro di favole, dove qualche volta la mamma prendeva ispirazione, iniziava a uscire un esercito di personaggi in miniatura guidati da un cavaliere su uno splendente destriero bianco.

Gentilmente il cavaliere si rivolse a Duccio e disse “Non preoccuparti, ci siamo qui noi se non riesci a dormire. Goditi lo spettacolo!”.
Allora gli gnomi iniziarono a parlare tra di loro, poi intervennero dei folletti, un principe combatté contro un drago ma la principessa non ne voleva sapere di lui dato che gli puzzava il fiato e un re perse la corona e andava in giro a chiedere se per caso qualcuno l’avesse vista. E ancora i nani non erano nani ma erano giganti che tutti chiamavano “nani” per burlarsi di loro, i tre porcellini giocavano l’uno con la coda dell’altro e in camera c’era un trambusto tale che sembrava un mercato tra chiacchiere, combattimenti, avventure e chi più ne ha più ne metta. Quando gli occhi pizzicavano un pò per la stanchezza, una fata dolcemente volò verso Duccio e con la punta della bacchetta gli toccò il naso. E fu il mattino.

personaggi delle storie che prendono vita

Il sole entrava timido con i suoi raggi e Claudia svegliò Duccio scuotendolo per le spalle. Sembrava esausto ma felice di quella notte movimentata. Il bambino si sentiva ridicolo a raccontare alla mamma quello che era accaduto, chi mai avrebbe creduto che i personaggi delle storie erano usciti da un libro e avevano preso vita? Forse davvero aveva sognato, forse si era immaginato tutto.

Ma lavandosi i denti davanti allo specchio Duccio vide della polvere oro sul naso e capì che di quello che era successo non doveva dubitarne mai.