bambino che va in bicicletta
Avventura, Diversità, Natura

La lentezza della lumaca

Rossa, fiammante, velocissima, con un grosso cestino per lo zaino.
Questo era il regalo che Tommy aveva ricevuto dai nonni per il suo compleanno e ogni qualvolta  il tempo lo permetteva, usava la sua nuova bicicletta per andare a scuola.
Tutti lo invidiavano quando arrivava come un scheggia sul suo sellino, gli occhi dei suoi compagni erano puntati su quel gioiello fiammante che luccicava alla luce del sole. Pure Alfredo, quel bambino antipatico di quinta, gli aveva chiesto dove l’avesse comprata.
Tommy era fierissimo della sua nuova bicicletta e non permetteva mai a nessuno di usarla.
“Ho paura che si rompa”, rispondeva sempre ai suoi amici e i suoi amici non glielo chiesero più.

Una mattina fresca di metà ottobre, Tommy si alzò in ritardo come al solito, si vestì di corsa, mise il giacchetto più pesante, baciò la mamma sulla guancia e uscì in giardino per prendere la bicicletta che teneva legata a un palo.
Ma qualcosa era diverso dal solito.
Una spessa striscia argentea imperlava il sellino da parte a parte e al suo termine una grossa lumaca si trascinava stancamente andando chissà dove.
“Ma che cosa strana!”- pensò Tommy- “Una lumaca su una bicicletta. Ma cosa pensa di fare? Le lumache sono lente e silenziose. Sarà meglio farla scendere visto che io vado velocissimo. Il suo posto non è di certo qui sopra. Per colpa sua arriverò tardi in classe e la maestra si arrabbierà moltissimo con me.”
Tommy allora prese delicatamente la lumaca per il guscio, la mise sull’erba e in tutta fretta pedalò verso la scuola.

Quello che Tommy non sapeva è che la lumaca non si era mai spinta al di là del delimitare del prato. Quindi lei ignorava che sul marciapiede davanti casa camminavano in fila le formiche, che sull’albero della vicina ci fosse un nido di api, che un pettirosso in fondo alla strada amava cantare alle 5 di pomeriggio. Le altre lumache erano felici lo stesso, in quel giardino crescevano in abbondanza denti di leone e altre foglie gustosissime, a loro non mancava niente. Ma alla nostra lumaca questa cosa proprio non andava bene. Lei aveva deciso che voleva scoprire il mondo e non si sarebbe arresa così facilmente.

Così la mattina dopo, con molta fatica, si fece trovare in orario sopra il sellino della bicicletta fiammante di Tommy.
“Eh no- pensò lui seccato- questa ci sta facendo l’abitudine.”
La riprese per il guscio, la osservò fissando le sue antennine sopra la testa e le disse “Come faccio a farti capire che se caschi ti fai male? Qui non devi salire!”. E la rimise al suo posto nel prato.
Ma la lumaca, testarda com’era, non avrebbe rinunciato al suo sogno e la mattina seguente, con molta fatica, si fece trovare nuovamente in orario sopra il sellino della bicicletta.
Tommy quando la vide non credette ai suoi occhi. Forse, per lo spavento, avrebbe capito che quello non era di certo un posto dove poteva stare una lumaca. Rifletté un attimo su cosa fare, la spostò sul manubrio e partì a tutta velocità verso la scuola.

Quando Tommy iniziò ad andare così veloce la lumaca per un secondo ebbe paura, poi si attaccò bene al metallo e si fece coraggio. Durante il viaggio si divertì da morire. Non si era mai sentita così libera. Osservò con cura le foglie che iniziavano a cascare, sentì l’odore intenso della resina dei pini, vide volti e case e montagne che non aveva mai visto prima. Tutto era nuovo, sconosciuto e a lei sembrava di essere rinata.
Quanto Tommy legò la bicicletta davanti a scuola si sorprese di vedere la lumaca ancora attaccata al suo posto ma si sorprese ancora di più quando al suo ritorno la notò lì, dove l’aveva lasciata, che lo stava aspettando.

Lungo la strada del ritorno la lumaca si sentì in dovere di sdebitarsi con quel bambino che gli aveva fatto vivere dei momenti così magici. Allora iniziò a raccontargli dei fili d’erba bagnati di rugiada, dei petali morbidi delle margherite e del solletico che il vento le faceva mentre era sopra la bicicletta. Tommy a quel punto rallentò (c’erano davvero tutte quelle cose?) e iniziò a osservare con attenzione quello che la lumaca gli diceva, andando lentamente per non perdersi nemmeno un dettaglio di quel mondo così piccolo ma non per questo meno bello.

Posso dirti, caro lettore, che divennero grandi amici. La mattina presto la lumaca era già pronta sul sellino della bicicletta, elettrizzata per il viaggio che l’aspettava. Tommy andava come una scheggia per non arrivare in ritardo e la sua amica non riusciva a smettere di ridere per il solletico che le faceva il vento. Al ritorno andavano piano, pianissimo, e spesso si fermavano a guardare i nidi dei merli o le antenne di qualche grillo che si domandava sbigottito che cosa ci facessero insieme quei due.

Tommy in bicicletta con la sua lumaca
statua di neve che sorregge un fiore
Arte

Il monumento di neve

Qualche tempo fa c’era un paesino piccolo piccolo piccolo come uno spillo di un ago, situato sul cucuzzolo di una montagna dove ormai nessuno andava più.

E voi vi chiederete “ma come nessuno ci andava più?”. Nossignori, non ci andava più nessuno. Dicevano “non ci sono più i servizi”, “devo scendere il monte per pagare le bollette”, “ha chiuso pure l’ultimo bar”, “ho trovato lavoro a valle”.
Insomma, in pochi anni il paesino piccolo come uno spillo si era svuotato ed erano rimasti solo quattro gatti e una dozzina di abitanti.

Tra questi vi era un vecchio, molto saggio, che dispensava sempre consigli utilissimi e non negava mai a nessun un sorriso sdentato.
Una sera morì e gli abitanti ne furono disperati, avevano perso uno dei più buoni e generosi uomini che ci fossero sulla Terra.

Fecero quindi una riunione e decisero che anche quel piccolo paesino sperduto doveva rendere omaggio a una persona così importante.
-Facciamo una statua di marmo
-No, di bronzo!
-Meglio di legno che qui ne abbiamo tanto!
Ma prese la parola il notaio, un tipo basso basso con gli occhiali sulla punta del naso aquilino, che dovette alzare la voce per farsi notare:
-Signori miei, scusate l’interruzione. Si dà il caso che il nostro saggio nel suo testamento abbia richiesto che una eventuale statua fosse composta con la neve.
Tutti rimasero senza parole.
-Di neve????
-Di neve, signori miei, soffice e morbida neve.   

I giorni seguenti ci fu un po’ di trambusto per organizzare la costruzione di quella statua così anomala ma decisero di rispettare la volontà del loro amato concittadino. La materia prima venne raccolta e piano piano compattata dall’artista del paese fino a formare le fattezze del vecchio saggio. La notizia di quel monumento così strano presto si diffuse e accorsero da ogni parte del mondo, proprio in cima al monte dove nessuno voleva salire più, per ammirare quella splendente statua che scintillava come un diamante, riflettendo la luce del giorno.
Presto dovette aprire persino un altro bar e le case vennero comprate in massa, moltissime persone volevano andare ad abitare in quel paesino piccolo piccolo ma adesso così famoso.

Ma l’inverno passò in fretta e tutti iniziarono a preoccuparsi per il destino della statua: si accesero ventilatori potentissimi, appesi teli, trasportata la neve da zone più fredde ma in primavera il naso iniziò a sciogliersi e il destino della statua di neve sembrava segnato.
Nel giro di qualche settimana il piedistallo era vuoto e del volto del saggio non c’era più traccia. Coloro che erano venuti da lontano parlavano sottovoce tra di loro e già volevano andarsene, pentiti del loro trasferimento.

Ma presto intorno al piedistallo, sul prato fresco, migliaia e migliaia di fiori stupendi sbocciarono come non se ne erano mai visti: viole, margherite, buganville, camelie e rose dal profumo inebriante. La neve sciolta aveva rinforzato le piante e nutrito l’erba; il paese anche da lontano era uno spettacolo unico di colori e nessuno aveva più intenzione di lasciarlo.
Gli abitanti dovettero ringraziare ancora una volta il vecchio saggio e aprirono un altro bar per accogliere i turisti che venivano da ogni luogo per ammirare quel paesaggio così speciale.

bambino che mostra felice il suo maglioncino
Amicizia, Natura

La maglia di Oreste

In una terra vicino al mar Tirreno era cresciuta una quercia da sughero che col passare del tempo era diventata grande, forte e saggia. Nella sua lunga vita aveva visto tante cose e se le ricordava tutte: giorni di sole caldo, fredde notti d’ inverno, navi nel mare in tempesta e barchette che dondolavano in acque calme. Aveva visto la guerra con i suoi morti e la sua paura, ma anche giovani promesse d’amore e bimbi con la faccia sporca di cioccolato e marmellata. Ormai era vecchia e un po’ stanca, ma le sue giornate erano rallegrate da Simonetta, una pecorina buffa e stramba che era diventata sua amica. Il pastore faceva pascolare il gregge nella grande pianura vicino al mare, ma Simonetta scappava al controllo del cane Agosto e si metteva a brucare lontano dagli altri, vicino alla quercia e chiacchierava tanto, tanto, tanto. Il vecchio albero si chiamava Arbor Vetus von Rubor, ma era un nome troppo difficile per la pecora che lo chiamava solo “Pianta”. Appena Agosto inseguiva qualche pecorella distratta, Simonetta trotterellava via fino a Pianta, mangiucchiava un po’ d’ erba, si strusciava al tronco e cominciava a raccontare la sua giornata. Poi verso sera cominciava con le sue buffe domande: “Che cosa vedi da lassù, Pianta?”, “ Ha un colore il vento?”, “Le onde del mare…le puoi toccare coi tuoi rami?”, “Quando gli uccellini fanno troppo chiasso, li butti nel mare?”,  “Le ghiande sono le tue lacrime o le tue risate?”. La quercia si divertiva e ridendo, mentre rispondeva, scrollava i suoi rami; la pecorina era contenta e si sentiva sicura e “speciale” accanto alla sua saggia amica. Poi Agosto abbaiava forte forte e Simonetta sapeva che doveva rientrare veloce più del vento che soffiava dal mare.

Simonetta e Pianta insieme

Ma l’ amicizia di Pianta e Simonetta doveva fare i conti con il pastore e il boscaiolo. Le pecore avevano messo su troppo pelo e il pastore decise di portarle a tosare: Simonetta provò a scappare, ma niente!
Quella stessa notte c’ era stato un vento fortissimo e potente che aveva abbattuto molti alberi; la nostra quercia cercò di resistere, ma era troppo vecchia e niente! Si piegò e lasciò che il vento ululasse cattivo tra i suoi rami. Il boscaiolo, quando vide la quercia a terra, tagliò la sua legna e la portò a vendere.

Oreste con la sua maglietta

Oreste aveva sei anni, viveva con la sua famiglia nella terra vicino al mar Tirreno. Era da poco passato a casa sua Babbo Natale che, tra gli altri doni, gli aveva portato un maglioncino caldo e morbido…per le feste importanti. Qualche tempo prima aveva visto le pecore senza pelo e si era messo a ridere: erano proprio buffe, sembravano spogliate, sgusciate come delle nocciole! La mamma gli aveva detto che le pecore fanno la lana, ma a Oreste non importava molto della lana e non ci fece più caso.

Un giorno, mentre giocava, il babbo e la mamma gli dissero che ormai era un ometto che poteva restare sveglio fino a mezzanotte ad aspettare l’anno nuovo. Oreste chiese come avrebbe fatto a riconoscerlo l’anno nuovo: se era un uomo, un bambino o cos’altro; i suoi genitori gli dissero che era invisibile, ma l’avrebbe riconosciuto dal botto di un tappo di una bottiglia speciale. Oreste era emozionato e anche un po’ spaventato: “ Ma sarà tipo Babbo Natale o la Befana?” “ Perché mi tengono sveglio e col maglioncino bello e nuovo?”. Gli occhi del bimbo cominciavano a frizzare per la stanchezza, ma questo botto non si sentiva ancora…poi il babbo prese la bottiglia e cominciò a contare e BUM!: un grosso tappo di sughero volò sul soffitto, rimbalzò , schizzò come impazzito contro la parete e alla fine: PAM! Si fermò sulla maglia di Oreste! Il bimbo sentì un brivido strano, come una magia. Il tappo, profumato di dolce, era rimasto attaccato al maglioncino: sembrava che non si volesse più staccare e che la lana lo tenesse stretto a sé. Oreste pensò che stessero abbracciati così per un incantesimo e non li volle separare. E un incantesimo c’ era stato per davvero: la lana della maglia era di Simonetta; il sughero del tappo era della quercia. Si erano riconosciuti subito e si erano stretti forte forte! Oreste non volle staccare il tappo “magico” dalla sua maglia: li mise in un cassetto con la lavanda e li lasciò insieme.

Oreste, ora, è un uomo adulto, ha lasciato la sua terra sul mar Tirreno, ma quando ci ritorna coi suoi figli per le vacanze, apre ancora quel cassetto con l’ incantesimo della sua infanzia e gli sembra di sentire un belato lontano e il vento del mare che passa tra i rami di un albero.

Quercia, Simonetta e la maglia di Oreste.