boccetta di liquido verde
Magia

La pozione dei desideri

C’era un tempo, non molto lontano da qui, un regno incantato, dove convivevano fate, uomini, nani, elfi e ogni genere di creatura magica e non. Una strega in particolare era famosa per la sua grandezza: ogni cento primavere fabbricava una potente pozione che aveva il potere di far avverare qualsiasi desiderio. Chiunque avesse voluto il premio doveva dare prova di bontà e coraggio.
Gli abitanti cercavano quindi di farsi notare dalla strega mostrando le proprie abilità: chi lo faceva con incantesimi, chi cucinando arrosti deliziosi, chi costruendo case sugli alberi. Insomma, ciascuno cercava di mostrarsi per ciò in cui era più versato, sperando di vincere l’agognato premio.

la pozione dei desideri

Tra tutti abitanti c’era un vecchio gentile che produceva intrugli di ogni tipo per curare chiunque ne avesse bisogno. Non lo faceva per interesse, anzi, non voleva niente in cambio ed era felice di rendersi utile aiutando gli altri. Le persone disperate si recano da lui: “mio figlio ha un male incurabile”, “mia moglie non ha appetito”, “mi fa male la punta del mignolo del piede sinistro” e il vecchio in quattro e quattr’otto raccoglieva le erbe e fabbricava una medicina.

La strega notò un gran numero di nani, elfi, esseri umani, che si recavano a casa dell’anziano per fare richieste di ogni genere e vista la sua generosità nell’aiutare chi fosse in difficoltà, decise di donargli la pozione. Il vecchio cercò di rifiutare il dono, non voleva ricchezza, gloria o fama, ma la strega ormai aveva preso la sua decisione.
Quella stessa notte però l’anziano signore morì e suo figlio, un uomo avido e scontroso, rubò la pozione magica dal comodino del padre per usarla.

Per testarne il funzionamento bevve un primo sorso e desiderò con tutto sé stesso di avere un castello in cima alla collina più alta del regno. Dopo pochi secondi una brezza leggera lo sollevò in aria e lo portò fuori dalla porta della sua umile dimora e poi in alto e ancora più in alto, fino a condurlo dentro la più bella fortezza che si fosse mai vista: enormi torri, possenti mura, profondi fossati, e un cancello così alto da sembrare una montagna.
Il figlio avido dunque bevve un altro sorso e desiderò di essere ricco, molto ricco, l’uomo più ricco del mondo. Dopo pochi secondi una brezza leggera attraversò le stanze del suo castello che si tinsero di oro e ogni oggetto divenne di cristallo purissimo. Il figlio preso dalla sete di potere decise di rimanere chiuso nel suo splendido castello: finalmente ogni cosa sarebbe diventata sua.

Gli abitanti nel frattempo soffrivano molto per la mancanza del vecchio, nessun bambino veniva più curato, non sapevano a chi rivolgersi per chiedere aiuto. Provarono a raggiungere la fortezza del figlio avido, sperando che lui potesse fabbricare quelle medicine che donava loro il padre, ma trovarono solo cancelli chiusi. Disperati si recarono dunque dalla strega, alla fine la pozione era andata in dono al vecchio e non al figlio, ma lei rispose che non poteva fare niente. Aggiunse anche di non preoccuparsi: presto il figlio si sarebbe reso conto delle conseguenze delle sue scelte.

Il tempo passava, il figlio rifiutava di curare i malati e le varie creature erano sempre più disperate. La pozione intanto aveva donato al figlio un cavallo possente, una forza incredibile, una corona di diamanti, una carrozza grande quanto una casa e dei capelli folti e lucenti. Ma al figlio malvagio mancava compagnia. Infatti, se grazie alla generosità del padre la piccola e umile casa era sempre piena di elfi, di nani grassocci, di bambini vivaci, adesso era completamente solo. Nessuno aveva più osato avvicinarsi al cancello del castello per evitare di essere maltrattato.

Il figlio bevve quindi un sorso della pozione e desiderò di essere circondato per qualche ora da qualcuno con cui parlare un po’. Dopo pochi secondi una brezza leggera sollevò delle persone e le portò nelle fredde stanze ma queste erano infelici e malate. Il figlio indispettito dal loro umore bevve l’ultimo sorso e desiderò che fossero quantomeno sorridenti e che lo adorassero. Ma il liquido magico non aveva nessun potere sui sentimenti e le persone rimasero tristi. L’unica a ridere era la strega, che conosceva bene l’avidità umana e spesso ne aveva visto i risultati.

Il figlio pianse per la prima volta per la sua solitudine e per la sofferenza degli altri. Non appena le lacrime toccarono per terra, una brezza leggera accarezzò il castello dorato portandoselo via insieme a tutte le altre cose. Da quel giorno il figlio capì che non aveva senso poter avere tutto senza avere qualcuno con cui condividere la propria felicità e iniziò a scegliere le erbe migliori per fabbricare i miscugli come il padre gli aveva insegnato, somministrandoli ai bisognosi che accorrevano finalmente alla porta della sua umile casa.

scultore che lavora a una statua
Arte, Avventura

L’uomo che trasformava le persone in statue

C’era una volta Anita.

Anita amava il gelato, amava camminare scalza sul prato, amava scoppiare le bolle di sapone con la punta del naso, amava il Natale ma se c’era una cosa che Anita amava più di tutte era passeggiare con Ettore.

Ettore, il cane di Anita

Ettore non era un amico qualunque: capiva sempre se Anita era triste, se aveva voglia di giocare o se voleva compagnia, ed Ettore era un amico speciale anche per un altro motivo, cioè che aveva quattro zampe e una coda buffissima, arricciata, come quella di un maialino, tutto ricoperto da pelo corto e rosso come il fuoco. Il cane più buffo che si sia mai visto. Ettore amava le carezze, amava dormire sul divano, amava abbaiare ai gatti per sentirsi cattivo ma se c’era una cosa che Ettore amava più di tutte era passeggiare con Anita.

E questo faceva di loro due amici inseparabili.

Anita tutti i giorni prendeva il guinzaglio di Ettore, che si metteva subito seduto con il petto fuori, tutto fiero e felice, lo faceva passare intorno alle zampe e al collo e si incamminava allegra, lungo le strade tranquille del suo paese. La passeggiata seguiva sempre il solito tragitto: lì in fondo alla strada c’era la gelateria, proseguendo a destra c’era un piccolo parco dove Ettore poteva fare amicizia e dove Anita spesso si toglieva le scarpe (ma guai se la mamma lo veniva a sapere), andando avanti c’era il signor Luigi che faceva bolle di sapone grosse quanto palloni da calcio, e alla fine, stanchi e felici, tornavano indietro, lungo lo stesso percorso.

Ma un giorno, mentre stavano tornando a casa, successe qualcosa che Anita non aveva previsto. L’imprevisto aveva la forma di un bel gatto, un enorme gatto bianco dagli occhi gialli. Ettore, che odiava i gatti almeno quanto amava le carezze, iniziò subito ad abbaiare “Allontanati brutto fetente!”, ma il gatto, che odiava i cani almeno quanto amava le carezze, rispose con un soffio acuto. Anita, sconsolata dall’entusiasmo del suo amico, sospirò e decise di cambiare tragitto per quella volta, proseguendo da un’altra parte, e vide una piccolissima strada che non aveva mai notato prima. Guardò il suo amico a quattro zampe, lui guardò lei e si incamminarono fianco a fianco.

La strada inizialmente sembrava una strada proprio come tante altre ma arrivati circa a metà Anita ed Ettore si resero conto che qualcosa non andava, la via sembrata abbandonata: c’era una villa con le persiane chiuse da assi di legno, dall’altra parte c’era una casa ricoperta di edera, poco più in là un edificio aveva le scale crollate, una vecchia scuola era senza tetto e si riusciva a intravedere dai vetri sporchi i banchi messi sempre in fila, con la lavagna appesa al muro. Ma di tutte queste cose strane quella che attirò di più l’attenzione di Anita era una piccola casa, quasi una baracca, nel cui giardino c’erano moltissime teste. Non teste vere, si intende, teste di ceramica, di vetro, di marmo, di legno, tutte disposte in fila, in bella vista sul muro e nel prato.

casa dell'uomo che trasformava le persone in statue

Anita pensò che quelle dovevano essere le teste dei vecchi abitanti di quella assurda strada che sicuramente qualcuno aveva trasformato in statue. Dopo un primo momento di terrore riprese fiato e avrebbe voluto fuggire, urlare e correre veloce verso casa ma non ci riuscì, le gambe si sbloccarono e rimase immobile, come pietrificata e pensò che quello fosse l’inizio di un qualche sortilegio che lentamente la stava trasformando. Cercò di guardare Ettore ma la testa era come bloccata e l’unica cosa che riuscì a dire fu “aiuto”. Quella parola magica doveva aver infranto il sortilegio perché improvvisamente le gambe uscirono dal loro torpore, strinse forse il collare di Ettore e scappò come un fulmine, insieme al suo amico, entrambi a perdifiato, verso casa.

La mattina dopo Anita si svegliò, e inizialmente pensò che quello che era successo il giorno prima non era altro che un brutto sogno. Poi ripensò alle teste di ceramica sul prato, alla paura, alla sensazione di non riuscire a muoversi, alla parola magica e al momento in cui finalmente era arrivata a casa.
Ora, se c’è una cosa che non vi ho detto di Anita è che Anita è la bambina più curiosa che io conosca. E una bambina curiosa come Anita non poteva far finta di niente. E poi tutte quelle persone? Qualcuno avrebbe dovuto salvarle.

Prese il guinzaglio, legò Ettore e uscì nuovamente di casa perché lei doveva capire. Trovò la stradina abbandonata, superò la villa chiusa, la casa con l’edera, il palazzo con le scale rotte e la scuola senza tetto, fece un profondo respiro e si avvicinò alla baracca. Dietro la siepe, seduto su una sedia di legno, vi era un uomo. Lui doveva essere colui che trasformava le persone in statue! Chino su un blocco di terra, con un utensile, dava lentamente forma a dei bellissimi capelli che incorniciavano un volto dolcissimo. Il naso era appena abbozzato, sottile e piccolo, e le labbra carnose erano stese in un eterno sorriso. La bambina rimase incantata dai gesti lenti e dalla maestria con cui quei movimenti toglievano la terra e nasceva la statua di una donna sorridente. Anita strinse il guinzaglio di Ettore e lentamente si incamminò verso casa.
Aveva appena deciso che sarebbe diventata anche lei un’artista. A quelle teste in fondo serviva proprio un corpo.

bambino travestito da dinosauro
Avventura

Un regalo speciale

A Matteo proprio non piaceva andare a nanna, aveva sempre un sacco di cose da fare e andare a dormire non era tra le sue preferite. Gli piaceva in modo particolare sfogliare il bellissimo libro che il nonno gli aveva regalato, pieno di immagini di dinosauri e non riusciva a pensare ad altro.

Quando aprì la letterina di Matteo, Babbo Natale rimase pensieroso, era abituato a ricevere strane richieste, ma anche per lui era impossibile trovare un dinosauro vero! Di certo non poteva lasciare Matteo senza il suo  regalo e dopo averci pensato molto ebbe un’idea. Avrebbe chiesto aiuto alla fata dei sogni! Solo lei avrebbe potuto fare vivere a Matteo le avventure che tanto si era immaginato sfogliando il suo libro.

Così quando avvicinandosi il Natale dovette scrivere la sua letterina, fu facile esprimere un desiderio: avrebbe chiesto a Babbo Natale di portagli un dinosauro, un dinosauro vero naturalmente, con il quale poter giocare nel suo giardino tutto il giorno! Chissà che faccia avrebbero fatto i suoi amici quando l’avrebbero visto!

Così la notte della vigilia di Natale, Matteo si addormentò nel suo lettino in attesa dell’arrivo di Babbo Natale… Chiuse gli occhi e si trovò  aggrappato al collo di un’enorme tirannosauro rex, lì per lì ebbe un pò paura, non era facile rimanere aggrappati al collo del suo nuovo amico, ma ne valeva davvero la pena! Si divertiva da matti a salutare dall’alto tutte le persone che incontrava e che lo guardavano incredule. Scivolare lungo il collo del tirannosauro poi era molto più divertente di come lo aveva immaginato, che meraviglia, avrebbe voluto non finisse mai.

Matteo con il suo regalo speciale, il dinosauro

-Matteo, Matteo, sveglia dormiglione!

La voce della mamma lo svegliò dal suo sogno.
“Che peccato”, pensò il bimbo, “mi stavo divertendo molto…” -Andiamo a vedere se Babbo Natale ha portato i regali!

“Non serve”, pensò tra sé Matteo, “io il mio l’ho già ricevuto!”

E da quella notte fu felice di andare a nanna, perché era certo che avrebbe ritrovato nei suoi sogni ciò che aveva tanto desiderato.

cavaliere che vola su un libro
Avventura, Magia

Le storie prendono vita

C’era una volta Claudia, una mamma che come molte altre aveva sempre mille impegni: corri di qua, corri di là, era sempre occupata da mille faccende. Ma la sera arrivava il suo momento preferito della giornata: sedeva sul bordo del letto del suo bambino per raccontargli una favola e accompagnarlo nel mondo dei sogni mentre lo stringeva forte a sé e non avrebbe voluto neppure tutto l’oro del mondo in cambio di quei minuti preziosi.

Si schiariva la voce e iniziava “ hai mai sentito parlare del mostro che non voleva mostrarsi?” oppure “ ti ho mai raccontato dell’anello magico che regala la felicità eterna?”. Si divertiva da morire a stuzzicare la fantasia del suo Duccio e metteva insieme ragni, orchi, draghi, fate e anche persone normali, per farlo addormentare con il sorriso sulle labbra.

Una sera Duccio, curioso come una volpe, chiese “Ma queste storie sono vere?” e Claudia senza pensarci un attimo gli rispose strizzandogli l’occhio “Non dubitarne mai.”
Dopo aver ascoltato una storia molto buffa su un ragno beneducato, la mamma gli diede un bacio sulla fronte, rimboccò le coperte e andò a letto promettendogli una nuova storia per il giorno dopo.

Durante la notte però il cielo si scatenò con tuoni e lampi, la stanza si illuminava di luce per poi tornare al buio e ogni cosa nella stanza sembrava viva.
Il bambino impaurito si mise sotto le coperte lasciando un piccolo spiraglio per vedere cosa succedeva e si accorse che dal libro di favole, dove qualche volta la mamma prendeva ispirazione, iniziava a uscire un esercito di personaggi in miniatura guidati da un cavaliere su uno splendente destriero bianco.

Gentilmente il cavaliere si rivolse a Duccio e disse “Non preoccuparti, ci siamo qui noi se non riesci a dormire. Goditi lo spettacolo!”.
Allora gli gnomi iniziarono a parlare tra di loro, poi intervennero dei folletti, un principe combatté contro un drago ma la principessa non ne voleva sapere di lui dato che gli puzzava il fiato e un re perse la corona e andava in giro a chiedere se per caso qualcuno l’avesse vista. E ancora i nani non erano nani ma erano giganti che tutti chiamavano “nani” per burlarsi di loro, i tre porcellini giocavano l’uno con la coda dell’altro e in camera c’era un trambusto tale che sembrava un mercato tra chiacchiere, combattimenti, avventure e chi più ne ha più ne metta. Quando gli occhi pizzicavano un pò per la stanchezza, una fata dolcemente volò verso Duccio e con la punta della bacchetta gli toccò il naso. E fu il mattino.

personaggi delle storie che prendono vita

Il sole entrava timido con i suoi raggi e Claudia svegliò Duccio scuotendolo per le spalle. Sembrava esausto ma felice di quella notte movimentata. Il bambino si sentiva ridicolo a raccontare alla mamma quello che era accaduto, chi mai avrebbe creduto che i personaggi delle storie erano usciti da un libro e avevano preso vita? Forse davvero aveva sognato, forse si era immaginato tutto.

Ma lavandosi i denti davanti allo specchio Duccio vide della polvere oro sul naso e capì che di quello che era successo non doveva dubitarne mai.